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TESTO Commento su Giovanni 15,26-27; 16,12-15

Suor Giuseppina Pisano o.p.

Pentecoste (Anno B) - Messa del Giorno (31/05/2009)

Vangelo: Gv 15,26-27; 16,12-15 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 15,26-27; 16,12-15

26Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; 27e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.

12Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.

C'è un'antica preghiera che recita: "Il mio povero corpo è affranto sotto il peso dei miei peccati. O Signore, perché non mi prendi per mano? Nelle mie opere non c'è quello che è dovuto a te e alla tua gloria, ma nel tuo Spirito Santo c'è quello che può guarire e trasformare me!" (Abu l-Khair); l'antico mistico persiano, si trova, come ogni uomo che abbia una buona coscienza, di fronte al proprio limite, il limite morale ed esistenziale, cui è soggetta ogni creatura, e chiede a Dio di aiutarlo a superarlo, con la forza dello Spirito, e questo, non per orgoglio, né per vanità, ma per poter vivere ed agire come segno vivente della gloria di Dio: un'aspirazione altissima, alla quale il Padre risponde col dono del Suo Spirito che trasforma e vivifica.

Leggiamo, nel Vangelo di Giovanni, di quel fariseo, Nicodemo, una persona in vista ed autorevole, che si recò da Gesù di notte, per paura, appunto di quei giudei dei quali era capo; ecco: Nicodemo è come l'icona dell'uomo in ricerca, dell'uomo che si interroga sui grandi temi dell'esistenza, sulla verità, sulla presenza di Dio nella vita dell'uomo e nella storia, e sulla bontà e rettitudine dell'esistenza stessa.

Verità, bontà, relazione con Dio, ogni uomo li cerca, perché li desidera, che ne sia consapevole o meno; ma questi valori, che rendono la vita degna di esser vissuta, non sono prodotto dell'intelligenza umana, bensì dono di Dio, infatti, essi hanno la loro sorgente in alto, e giungono a noi attraverso lo Spirito.

E dello Spirito, il Cristo parla, in quella notte, a Nicodemo, e lo fa con una brevissima, splendida parabola: la parabola del vento, che così recita: "Il vento soffia dove vuole, e ne senti la voce; ma non sai di dove viene e dove va. Così è di chiunque è nato dallo Spirito" (Gv. 3,8).

Lo Spirito di Dio è come il vento, che ci avvolge e ci accarezza, come il vento che ci sospinge, e del quale non vediamo il punto in cui prende vita, né quello in cui cessa; tuttavia lo sentiamo su di noi, benefico e forte; ne sentiamo la voce quando soffia con potenza, ma non possiamo dominarlo, né piegarlo, né dargli una direzione; esso si leva e va, poi cessa, e noi non possiamo che esserne spettatori.

Come il vento è lo Spirito di Dio, l'Amore sostanziale che corre tra il Padre e il Figlio, e che è dato ad ogni uomo che lo desideri e creda; ed è quello stesso Spirito, solennemente effuso sui Dodici cinquanta giorni dopo la Pasqua, come la Chiesa oggi ci ricorda, attraverso la lettura degli Atti degli Apostoli: "Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano....."; è ancora l'immagine del vento, di un vento impetuoso, che travolge, che sembra portar scompiglio nelle cose, ma che in realtà, opera una trasformazione radicale, quella che l'antico mistico persiano invocava, quella che a Nicodemo sembrava impossibile, quella che i discepoli sperimentarono nella loro vita, perché fu lo Spirito a trasformarli da poveri pescatori ignoranti e paurosi, in testimoni intrepidi di Cristo e del suo vangelo: l'unica Verità che salva.

"Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro, continua il passo degli Atti, ed essi furono, tutti, pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi;... la folla si radunò e rimase sbigottita, perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua."; ed erano Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, stranieri di Roma, Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi; un miracolo imponente, ma, più ancora, un segno consolante, che ci parla di comprensione tra i popoli e di comunione nell'unica fede in Cristo, nonostante le differenze culturali.

Lo Spirito di Dio, Spirito d'amore, è comunione; un dono che nasce dalla morte e resurrezione del Figlio di Dio, il Signore risorto, il quale, come recita il passo del vangelo di oggi:" La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli, per timore dei Giudei, venne, si fermò in mezzo a loro e disse:«Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il costato.....e, dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo...»".

Ecco, le mani coi segni dei chiodi, e il costato aperto dalla lancia del soldato, sono il segno dell'amore del Cristo che muore, ed è in quel momento, secondo il racconto di Giovanni, che il Figlio di Dio effonde lo Spirito sul mondo, sull'umanità intera, che ha bisogno di esser riconciliata col Padre:" Quando, poi, ebbe preso l'aceto, recita il testo, Gesù disse: «Tutto è compiuto!» e, chinato il capo, rese lo spirito" (Gv.19,30); e, nell'ultimo respiro del Figlio dell'uomo, c'è il dono del Figlio di Dio: lo Spirito promesso in quell'ultima cena coi suoi.

E' lo Spirito che, come recita il salmo, "rinnova la faccia della terra..." ( Sl.103); rinnova, dalle profondità del suo essere, ogni uomo che cerca Dio e la Sua verità; è, lo Spirito, che ci fa creature nuove, rinate dall'Alto, come disse Gesù a Nicodemo, in quel lungo colloquio notturno: «In verità, in verità, ti dico: se uno non è nato dall'acqua e dallo Spirito, non può entrare nel regno di Dio...Voi dovete rinascere dall'alto....» (Gv.3,5-7); e, rinascere dallo Spirito, significa lasciarsi illuminare da Lui, e da Lui condurre lungo tutto l'arco della vita, credendo ed amando, con la forza che viene da Dio; dallo Spirito, infatti, ci vien data una nuova capacità di amare, che supera il limite dall'amore umano, per elevarci a quello divino, che abbiamo conosciuto in Cristo, nelle sue parole e nelle sue opere.

Così, trasformati dallo Spirito, anche noi saremo capaci di misericordia, e, ancor più, saremo capaci di perdono, il vertice ultimo dell'amore, che si dona senza alcun tornaconto, il perdono, che ci fa assomigliare al nostro Redentore, che, morendo per mano di uomini, disse: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno!» (Lc. 23,34).

E di perdono, appunto, ci parla, oggi il passo del Vangelo, là dove dice: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi»; il dono dello Spirito, l'azione dello Spirito in noi, è legata, dunque, all'amore che perdona; c'è, e lo sappiamo, un perdono sacramentale, affidato al ministero della Chiesa; ma c'è un perdono più radicale e diffuso, affidato ad ognuno di noi, un perdono generoso, instancabile e totale, che è la vera misura del nostro amare Dio e configurarci a Cristo, e questo è dono dello Spirito, che fa di noi, come dice Paolo, "un solo corpo", che non conosce più inimicizie né divisioni.

sr Maria Giuseppina Pisano o.p.
mrita.pisano@virgilio.it

 

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